Intervista

Omicidio Nada Cella, dopo quasi 30 anni si arriva al processo. La criminologa: “Mai smettere di cercare la verità”

Antonella Delfino Pesce è stata fondamentale per riaprire il cold case e arrivare a un rinvio a giudizio per Annalucia Cecere, Marco Soracco e Marisa Bacchioni: "La mamma Silvana mi ha spinto ad andare avanti"

antonella delfino pesce

Genova. Lo scorso marzo la voce di Antonella Delfino Pesce era cupa, il tono spento da delusione e frustrazione: era il giorno in cui la giudice per le indagini preliminari del tribunale di Genova aveva deciso di non rinviare a giudizio Annalucia Cecere, accusata di essere l’autrice materiale dell’omicidio di Nada Cella, 25 anni, avvenuto la mattina del 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, in via Marsala, a Chiavari.

A distanza di poco più di otto mesi, la criminologa che con il suo lavoro – una tesi del master in Criminologia – ha contribuito a riaprire le indagini su uno dei cold case più tristemente noti d’Italia ha un tono completamente diverso: “Oggi è uno dei giorni migliori per parlare”, sorride. Mercoledì 20 novembre infatti la Corte d’appello di Genova ha deciso che Cecere deve essere processata per omicidio, mentre Marco Soracco e l’anziana madre, Marisa Bacchioni, dovranno rispondere di favoreggiamento e false dichiarazioni al pm.

Il decreto che dispone il giudizio è stato pronunciato dal presidente della terza sezione del tribunale Vincenzo Papillo, dopo circa due ore di camera di consiglio. Una svolta importantissima, che arriva a quasi trent’anni dall’uccisione di Nada, massacrata nello studio di Soracco e trovata agonizzante sul pavimento.

Antonella, senza il suo lavoro oggi non si sarebbe mai arrivati a questo risultato.

Io sono stata l’innesco, ma la miccia si è accesa grazie a una procura fantastica, alla dottoressa Dotto, al dottor Paoletti e ovviamente al procuratore generale, è stato lui poi ieri a sostenere la tesi della procura. Non si può parlare di gioia visto che è morta una ragazza di 25 anni, di fatto senza un vero motivo, ammesso che ci possa mai essere un vero motivo. Questa decisione però ha fatto riprendere fiato e fiducia. Si può dure che si può credere nella giustizia, nella ricerca della verità, e che gli sforzi non sono inutili: se si lavora, e si lavora sodo, si può arrivare alla verità. Questo serve per tutte le persone che oggi attendono una risposta sulla morte di un loro caro.

Ieri in aula era assente Silvana Smaniotto, la mamma di Nada. Ha deciso di non partecipare dopo l’udienza del marzo scorso in cui era stato stabilito il non luogo a procedere. Lei ha costruito un rapporto molto stretto con Silvana: l’ha sentita?

Sono riuscita a sentirla tardissimo, il suo telefono era sempre occupato o lo era il mio, e non riuscivamo a parlarci. Alla fine è andata Silvia, la nipote, a piedi a casa sua e sono riuscita a parlarle. Io ieri ero terrorizzata, non per l’udienza in sé, perché anche se fosse andata male avrei continuato a lavorarci. Ero terrorizzata per Silvana, avevo timore che un altro colpo così non lo avrebbe retto. Ne ha passate tante. Ieri sera era sfinita, ma l’ho sentita bene. Lei da qualche tempo ha problemi di udito e ha detto “‘mi vado a comprare l’apparecchio acustico perché voglio sentire tutte le udienze’”.

Il caso di Nada è certamente uno tra i cold case più famosi d’Italia. Lei ci è arrivata quasi per caso, stava cercando un caso per la sua tesi, ma ci è rimasta agganciata, tanto da arrivare a trovare ciò che serviva per riaprire le indagini. Che cosa l’ha catturata?

Posto che tutta questa vicenda è incredibile, sicuramente è stata Silvana. Quando sono venuta a Genova a fare il master in criminologia ci chiesero subito di scegliere l’argomento della tesi. Io inizialmente avevo scelto un altro caso, quello di Francesca Moretti (altro cold case famoso, un omicidio avvenuto a Roma ribattezzato “il delitto della minestrina”, ndr), l’avvocato disse che la famiglia non era disponibile. A quel punto l’allora giornalista del Secolo XIX, Nicola Stella, mi disse di Nada e che poteva mettermi in contatto con Silvana. E aggiunse anche “tanto non arriverai a nulla”, ai tempi era ancora così purtroppo. Silvana è stata la persona che mi ha motivata ad andare avanti. Quando ci siamo incontrate le dissi subito che non potevo promettere miracoli. Lei mi rispose di non preoccuparmi, che tanto peggio di com’erano le cose all’epoca non poteva andare.

E oggi abbiamo un processo in vista, che inizierà il 6 febbraio. Cosa farà nel frattempo?

Lo aspetto, continuando comunque a lavorare nelle retrovie. Ciò che spero è che quanto accaduto con Nada faccia capire a tutte le persone e alle famiglie che hanno perso qualcuno in modo violento, e su cui è calato il silenzio, che si può fare qualcosa. I familiari non vogliono un colpevole o una condanna, i familiari vogliono sapere la verità e avere risposte. A volte si riesce ad andare a processo, a volte no, a volte passa troppo tempo e chi deve andare a processo non c’è più, a volte succedono altre cose. Ma si deve sempre provare.

Nel caso di Nada ha sempre pensato che il processo si dovesse fare?

Assolutamente. Il processo è l’unica maniera affinché ci sia un confronto palese a tutti tra le persone indagate. Ci sono persone che hanno mentito, e non era giusto che terminasse così, non era giusto che le loro menzogne fossero protette senza andare processo. Prima dei diritti c’è una cosa che si chiama verità, e chi ha palesemente mentito va messo a confronto con i fatti e le persone per capire quali sono queste bugie, e perché sono state dette. Non stiamo parlando di un furto in un supermercato, ma dell’omicidio di una ragazza di 25 anni.

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