La sentenza

Mahmoud, ucciso e decapitato perché si era ribellato ai datori di lavoro che lo sfruttavano: ergastolo per Tito e Bob

In aula ancora questa mattina Bob ha accusato Tito: "È un criminale, io non c'entro niente"

Genova. Ergastolo per Mohamed Alì Abdelghani Alì, detto Bob, e Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto Tito, che il 23 luglio del 2023 hanno ucciso e poi fatto a pezzi tagliandogli testa e mani il 19enne Mahmoud Abdalla, che voleva lasciare il lavoro e denunciare i titolari del negozio perché veniva sfruttato.

Lo ha deciso la Corte di Assise di Genova presieduta dal giudice Massimo Cusatti. Il massimo della pena quindi per un omicidio aggravato come aveva chiesto la pm Daniela Pischetola, dalla premeditazione e dai motivi abietti e futili. Oltre all’omicidio i due egiziani sono stati condannati anche per occultamento e vilipendio di cadavere, reato quest’ultimo che neppure l’accusa aveva formulato.

“Non ho mai visto né collaborazione né compassione o rammarico verso la vittima, ma anzi tentativi di sviare le indagini” aveva detto la pm nella scorsa udienza chiedendo che ai due non venissero concesse le attenuanti generiche Gli avvocati di Tito e Bob Salvatore Calandra, Elisa Traverso, Carlo Manti e Fabio Di Salvo, hanno provato a loro volta a sostenere le tesi dei loro assistiti invocando responsabilità contrapposte.

Dopo la sentenza Di Salvo e Calandra hanno ovviamente preannunciato il ricorso in appello.: “E’ chiaro che far cadere le aggravanti significherebbe ridurre notevolmente la pena” dice il difensore di Bob mentre l’avvocato di Tito ammette che erano preparati anche a questa sentenza. Anche per questo non si sono state reazioni alla lettura da parte dei giudici

In aula era presente Hamid, il fratello di Mahmoud, assistito dall’avvocata Silvana Bianchi. Per la parte civile il giudice ha disposto una provvisionale complessiva di 120mila euro (di cui 70mila a carico di Tito e 50mila a carico di Bob)

Generico novembre 2024

In aula Bob accusa Tito: “È un criminale, io non c’entro niente”

In aula gli ultimi a parlare prima che la Corte si ritirasse per la decisione sono stati proprio i due imputati. Tito si è limitato a dire di essere “molto dispiaciuto per i parenti di Mahmoud” spiegando di “non aver mai avuto con lui alcun litigio” prima di  quello che ha definito un “incidente”.

Bob invece ha accusato ancora una volta Tito: “Non ho mai visto un criminale come lui” ha detto in aula ripetendo di non aver mai mentito: “Io non c’entro niente signor giudice, io non ho detto bugie, lo giuro anche su mia madre”. Bob ha insistito molto sul fatto di “essere venuto in Italia per lavorare” e ha spiegato che anche in carcere sta lavorando.

La ricostruzione del delitto

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri del nucleo investigativo di Genova coordinati dal colonnello Michele Lastella Mahmoud voleva lasciare il lavoro alla barberia di Sestri Ponente perché era sottopagato e aveva chiesto di avere i soldi arretrati che gli spettavano. E Alì (il proprietario della barberia, in Egitto nei giorni dell’omicidio e mai più tornato in Italia), Tito e Bob, che gestivano la barberia per suo conto, non erano contenti di questa decisione. Era un pessimo esempio, perché altri giovani come Mahmoud avrebbero potuto a quel punto fare lo stesso e avrebbero così perso il controllo sui loro connazionali.

Ma Mahmoud era deciso. Il giorno precedente all’omicidio aveva fatto le prove di taglio in un altra barberia appena aperta a Pegli. Era contento, aveva anche postato delle foto sui social e aveva chiesto al titolare anche ospitalità per la notte visto che lasciando la Barberia di via Merano non poteva più usufruire del dormitorio di via Vado pagato appunto dai proprietari della barberia di Sestri. E la domenica mattina fino alle 14 aveva nuovamente lavorato in quello che doveva essere il suo nuovo posto di lavoro. Però aveva contattato Tito e Bob per avere i soldi arretrati.

Loro invece lo avevano attirato in una trappola mortale. Avevano comprato poco prima un coltello e una mannaia e proprio nell’appartamento di via Vado lo avevano ucciso. Poi, a bordo di un taxi, con il cadavere del ragazzo in una valigia erano andati a Chiavari (dove gestivano un’altra barberia) e nella notte avevano portato il corpo sulla spiaggia, gli avevano tagliato la testa e le mani gettando i resti in mare. I due sostanzialmente avevano ammesso il delitto seppur scaricandosi addosso a vicenda parte delle responsabilità . Tito in particolare ha sempre detto che era stato il giovane a tirargli un pugno e che poi nella colluttazione sarebbe finito sopra il coltello, ricostruzione incompatibile con le lesioni riportate, Bob invece aveva gettato la responsabilità su Tito.

Il ruolo fondamentale delle telecamere

Le indagini erano partite dal macabro ritrovamento prima di una mano in mare al largo di Chiavari, poi dell’altra sulla spiaggia e infine del tronco senza mani e senza testa (che non sarà mai ritrovata) del giovane barbiere.

Ma le impronte digitali di un ragazzi identificato perché arrivato in Italia da minorenne si erano subito indirizzate sul luogo di lavoro ed erano state agevolate dal fatto che tutta la lunga sequenza del delitto – ad eccezione del momento stesso dell’uccisione nell’appartamento – è stata virtualmente e minuziosamente ricostruita grazie alle celle telefoniche e alla telecamere di sorveglianza, a Genova come a Chiavari. La Procura a causa delle chat cancellate sul telefono di Tito non è mai stata nelle condizioni di chiarire il ruolo di Alì, che aveva detto a Tito dopo l’omicidio “Cancella questa chat“. Ma se sia stato il mandante o meno dell’atroce delitto probabilmente non lo si saprà mai.

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