Genova. La procura di Genova ha chiuso le indagini su Salvatore Vetrano, il “re dei surgelati” di Palermo, ritenuto vicino a Cosa Nostra. Se in totale gli indagati. Tra loro c’è il suocero di Vetrano, Pietro Bruno, boss legato a Totò Riina.
Bruno, aveva scritto il gip, è il “reggente della consorteria mafiosa di Capaci/Isola delle Femmine, organica al “mandamento” palermitano di San Lorenzo, già detenuto presso il carcere di Marassi”. Hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini anche la moglie di Vetrano, Anna Bruno (difesa dalle avvocate Laura Razetto e Laura Liguori), l’imprenditore ittico genovese Mauro Castellani (difensori Eleonora Rapallini e Francesco Iacobelli), Giuseppe Licata (legali Massimo Boggio e Loredana Greco) e Sebastiana Germana (Luigi Latino e Paolo Scarcià).
Vetrano (difeso dagli avvocati Razetto e Alessandro Vaccaro) era stato estradato dalla Spagna ed è l’unico a cui i pm Federico Manotti e Giancarlo Vona contestano l’aggravante mafiosa. Per gli altri le accuse, a vario titolo sono associazione per delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento Iva aggravati dalla transnazionalità.
A Pietro Bruno è contestata la ricettazione e la mancata comunicazione della variazione patrimoniale per persona sottoposta alla sorveglianza speciale. I pm, in particolare, gli contestano di non avere comunicato di avere a disposizione oltre 125 mila euro in contanti e sei orologi di lusso del valore di circa 136 mila euro. Inoltre, l’anziano avrebbe ricevuto, in più occasioni da Vetrano circa 280 mila euro in contanti. I finanzieri avevano trovato in casa di Licata circa tre milioni in contanti.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’associazione, attraverso società con sede in Spagna, Portogallo e Italia che avevano come amministratore di fatto e socio occulto Vetrano, ha messo in atto una serie di frodi Iva. In pratica veniva trasferito su “missing trader” (ditte cioè che omettevano il versamento dell’imposta applicata in fattura) il debito Iva derivato dalle transazioni garantendosi la possibilità di praticare prezzi al di sotto delle normali condizioni di mercato. Il denaro, provento delle fittizie intestazioni, veniva reimpiegato nelle società estere riconducibili a Vetrano.