Genova. Era stato investito sulle strisce in via Caffa da un autocarro in manovra riportando diversi traumi facciali e al torace. L’uomo, Francesco Milano, era stato dimesso tredici giorni dopo ma appena arrivato a casa aveva perso conoscenza ed era morto per un’embolia polmonare.
Per quella morte, che risale ai primi mesi del 2018, la pm Arianna Ciavattini ha chiesto 8 mesi di reclusione in abbreviato per omicidio colposo per tre medici dell’unità maxillo-facciale dell’ospedale San Martino di Genova . Mentre ha chiesto l’assoluzione per lieve entità della responsabilità all’autista dell’autocarro che lo aveva investito. L’autista, assistito dall’avvocato Paola Pepe, stava rientrando da un soccorso in autostrada: era transitato con il verde, ma anche il pedone a sua volta aveva attraversato correttamente. Probabilmente dall’alto del posto di guida non lo aveva visto. L’avvocata per lui ha chiesto l’assoluzione piena per l’assenza del nesso causale.
In ogni caso secondo l’accusa, supportata da quanto emerso dalla consulenza medico-legale, la responsabilità della morte dell’uomo sarebbe soprattutto dei tre medici. Secondo la pm i medici non hanno prescritto all’uomo, dopo l’intervento in atto la “profilassi farmacologica per la trombosi venosa profonda” e nonostante due giorni prima delle dimissioni l’uomo fosse svenuto in reparto e nei successivi due giorni abbia presentato tachicardia e insufficiente ossigenazione tanto che per respirare correttamente aveva necessità di utilizzare l’ossigeno, era stato dimesso senza che prima fossero eseguiti gli approfondimenti diagnostici (come tac ed ecografica) che avrebbero prevenire la trombosi che lo ha ucciso.
Per gli avvocati difensori dei tre medici, Antonio Rubino e Federico Figari, non c’è invece il nesso causale tra la morte dell’uomo e il fatto che non gli hanno prescritto il farmaco antitrombosi, vale a dire l’eparina. La richiesta di assoluzione deriva soprattutto dalla perizia che la gip ha chiesto prima di discutere l’abbreviato il farmaco non avrebbe potuto essere somministrato al paziente subito dopo l’intervento perché avrebbe portato un rischio di emorragia e il fatto di somministrarglielo invece nei due giorni precedenti alle dimissioni avrebbe in ogni caso ridotto il rischio di morte “solo del 40%”. Troppo basso per provare la responsabilità degli operatori sanitari.
La giudice Macciò si è riservata. La sentenza è attesa per l’11 dicembre.