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Il Giro di Vite, la recensione della doppia rappresentazione in prosa e opera al Teatro Ivo Chiesa fotogallery

Una piccola maratona per il pubblico, che però può cogliere sfumature inedite nelle due rappresentazioni durante la stessa sera

Il giro di vite - prosa

Genova. L’ambiziosa doppia inaugurazione di stagione di Teatro Nazionale e Teatro Carlo Felice ha nel Giro di Vite il titolo scelto per la proposta comune, diretta, in entrambi i casi, da Davide Livermore. Il testo, tratto dal romanzo di Henry James, è uno dei capisaldi del romanzo gotico (pubblicato nel 1898).

La trama

Un’istitutrice accetta di prendersi cura di due bambini (Flora e Miles) in una grande casa di campagna accettando l’offerta del loro zio, che non intende occuparsi di loro. Chi l’ha preceduta è morta in circostanze misteriose, ma inizialmente ciò non la preoccupa: Flora, l’unica presente a casa, è adorabile e intelligente. Tutto cambia quando Miles viene cacciato dal collegio per un motivo ignoto. L’istitutrice inizia a vedere nella dimora due persone che non conosce e sospetta che possano essere due fantasmi. Confidatasi con la governante Mrs. Grose scopre che si tratta di Peter Quint, il maggiordomo, e Miss Jessel, la precedente istitutrice, entrambi morti. I due trascorrevano molto tempo coi bambini e l’ombra di un abuso cala su di lei. I bambini sono consapevoli delle presenze? Il finale è un crescendo drammatico. Sembra che Flora abbia parlato con Miss Jessel, pur negando e allora l’istitutrice invita Mrs. Grose a portarla dallo zio, mentre lei resta sola a casa con Miles. Il bambino finalmente si libera, ma a un caro prezzo.

I punti di forza

L’allestimento, spostato negli anni Cinquanta del Novecento a giudicare da abiti e arredi, con le scenografie di Manuel Zuriaga e le luci di Antonio Castro, è opprimente al punto giusto: le pareti altissime e dalla tappezzeria scura si muovono quasi a schiacciare i personaggi. L’idea di mostrare i due fantasmi dietro alle pareti (invece che attraverso le più scontate finestre) grazie a un gioco di luci è ottima. Linee dritte, tagliate, squadrate, che si completano anche con la tipologia di chiusura del sipario nelle 16 scene dell’opera, che si stringe sui protagonisti limitando sempre di più lo spazio.

Le luci rendono perfetto il messaggio subliminale della proiezione delle ombre (più marcato nella parte in prosa) di ogni personaggio in una lettura che si presta alle interpretazioni sul bene e il male e sull’animo umano.

Attori e cantanti sono stati tutti bravissimi con una menzione per le due istitutrici Linda Gennari (prosa) e Karen Gardeazabal (opera).

cast giro di vite
Cast artistico e tecnico

I dubbi

Il testo di James è magistrale nell’instillare i dubbi nel lettore: i fantasmi sono un’invenzione dell’istitutrice? I bambini sono consapevoli delle presenze? In che rapporti erano con Quint e Miss Jessel? Nel libro il racconto dell’istitutrice viene letto da tal Douglas al narratore. L’istitutrice è dunque una narratrice inaffidabile e ciò che leggiamo e vediamo sul palco è solo quello che vuole farci vedere? È tutto nella sua mente?
Nella versione in prosa adattata da Carlo Sciaccaluga emerge una lettura simile a quella della sceneggiatura di Truman Capote del film The Innocents (in italiano uscito come Suspense), in cui Miles sembra consapevolmente corrotto, che osa, nella gestualità, più di un contatto proibito con la sua istitutrice. Emerge dunque una sorta di non detto, tra loro, e che ha nelle battute sulla perdita dell’innocenza una chiave di lettura meno ambigua rispetto al libro.
Il sottofondo musicale che aumenta (forse troppo) l’inquietudine (le musiche sono di Giua), l’amplificazione delle voci (una caratteristica di Livermore) con l’emersione di una sorta di doppia personalità di Miles porta il pubblico in questa direzione. Sul palco, dunque, sembrano esserci più certezze.

L’opera in un teatro di prosa

La messa in scena dei due titoli nello stesso giorno è consigliabile, anche se impegnativa (la prosa dura 1 ora e 35 minuti circa, l’opera 1 ora e 40, con un intervallo tra le due di 20 minuti) e consente di godere di sfumature inedite. Il prologo, inedito nella prosa, è affidato alla voce dello stesso Livermore attraverso il fruscio di una vecchia tv, mentre nell’opera viene ripetuta la scena durante l’esecuzione della musica di Britten.
C’era qualche timore per la resa acustica, invece la nuova buca del teatro Ivo Chiesa è risultata funzionale anche perché l’orchestra del Carlo Felice era in forma ridotta proprio per le necessità di partitura. Il direttore Riccardo Minasi è stato bravissimo nell’esaltare i punti chiave dell’opera.
Rispetto alla prosa, l’opera è, a nostro parere, più riuscita anche dal punto di vista della regia: più pulita e funzionale appunto in relazione alla musica che inizia con variazioni ascendenti e quasi spensierate, per poi avvilupparsi e discendere nel dramma in una tensione che emerge anche dai vocalizzi dei bambini (Miles in particolare), con le filastrocche apparentemente senza senso che assumono un determinato e cupo significato. Se nella prosa alcuni passaggi della trama potevano sembrare oscure, nell’opera è tutto più comprensibile e rodato. È interessante cogliere le differenze interpretative dei due adattamenti e le variazioni di regia sullo stesso allestimento.

(La recensione si basa sulla rappresentazione del 16 ottobre).

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