Documentario

Viaggio nell’ossario dell’Acquasola, la storia dell’ecatombe della peste salvata dall’oblio fotogallery

Il reportage dell'ultima missione del Centro Studi Sotterranei nel sottosuolo di Genova, trai i resti delle migliaia di genovesi morti durante l'epidemia del 1655. Le ipotesi per il futuro del sito archeologico

Genova. E’uno dei siti archeologici più incredibili e preziosi di tutto il mondo, capace di racchiudere tante storie in una sola e al contempo continuare a raccontarci qualcosa nel nostro presente, e chissà, anche del nostro futuro. Stiamo parlando dell’ossario dell’Acquasola, vale a dire di quelle migliaia di resti umani conservati nei bastioni interrati del grande parco cittadino, rimasti nell’oblio fino alla fine degli anni 80 dello scorso secolo e oggi nuovamente oggetto di studio e approfondimento grazie al lavoro del Centro Studi Sotteranei, guidato da Stefano Saj, architetto e speleologo che da anni esplora il sottosuolo di Genova e dei suoi dintorni.

Il reportage, realizzato da Gabrio Taccani – e che Genova24 pubblica in anteprima – ci mostra l’ultima discesa del Css svoltasi in questi giorni per verificare lo stato di conservazione dei reperti, dopo che, proprio grazie ad uno di questi sopralluoghi, il gruppo aveva individuato una perdita che stava allagando i locali, permettendone la riparazione e quindi la salvezza del sito. Il materiale video è stato poi arricchito di riferimenti e tracce bibliografiche e storiche, diventando un documentario unico e prezioso, capace di portare a tutti noi che stiamo in superficie una storia rimasta sepolta e “finita nell’oblio”

La scoperta dell’ossario dimenticato

Storie nelle storia, dicevamo. A partire dalla sua riscoperta, avvenuta grazie alla piuma di un cigno. “Tutto è iniziato quasi per caso – racconta Stefano a Genova24 – ancora negli anni ottanta gli unici a conoscere le viscere delle città erano i fognaioli, operai addetti alle manutenzioni sotterranee che si destreggiavano tra canali e cunicoli per intervenire dove era richiesto. Una conoscenza allora preziosa e unica, quasi mitologica. Ne conoscevo alcuni di loro, e spesso mi raccontavano cosa c’era sotto i nostri piedi. Un giorno mi hanno raccontato di aver trovato una piuma di cigno in un cunicolo di scolo nella parte interna dell’attuale bastione. All’epoca il laghetto dell’Acquasola ospitava dei cigni, qualcuno lo ricorderà, e l’unico modo per essere arrivata lì, quella piuma, era quello di essere passata da qualche parte là “sotto”. Mi feci accompagnare. Con mio enorme stupore ci trovammo davanti ad un muro di diversi metri totalmente inglobato e racchiuso dalle mura ottocentesche del parco. E lì una breccia. Per noi speleologi le brecce sono entità irresistibili – sottolinea Stefano – e in pochi istanti mi trovai ad attraversarla. Dietro quel muro una spettacolo shoccante e inaspettato: migliaia, decine di migliaia di ossa e teschi umani, accatastati ovunque per decine di metri in questi corridoi di pietra”.

Ossario Acquasola

La notizia della scoperta ha fatto in breve tempo il giro del mondo, finendo sulle principali riviste del settore e in servizi tv dedicati. Ancora oggi il suo interesse fa gola a moltissime trasmissioni, ma le necessità di conservazione richiedono cautele infinte: “Le condizioni delle ossa sono ovviamente precarie, l’umidità le ha rese fragili, e ogni passo le consuma – rivela Saj – per questo anche le nostre visite le centelliniamo il più possibile, sempre coordinandoci con la Soprintendenza per l’Archeologia e le Belle Arti. In questi anni siamo tornati poche volte per accertarci della situazione e lavorare alla loro conservazione. Quando andiamo li dentro abbiamo un protocollo rigidissimo – spiega – per dire, camminiamo sulle impronte già fatte nei sopralluoghi precedenti”.

La storia dell’ossario: le tracce e le ipotesi

Ma arriviamo alla storia di questo incredibile posto. “Non c’è traccia in nessun documento di questo ossario, ma ci sono delle ipotesi che possono essere fatte – spiega Stefano – A partire dal luogo. Di fatto sotto il parco dell’Acquasola esiste un bastione dimenticato, facente parte delle mura seicentesche, che Carlo Barabino, nel 1825, fece totalmente inglobare dai bastioni che oggi sostengono la spianata. In pratica hanno costruito uno scrigno intorno a questo opera militare, che resta quindi conservata sotto i nostri piedi. Un’opera notevolissima e che rappresenta di per sé un tesoro archeologico a parte”.

Ma per costruire quello che oggi è il più grande e frequentato parco cittadino, il Barabino ha dovuto spianare il terreno attorno. “Quella zona fuori dalle mura la troviamo nei documenti storici denominata genericamente come  ‘i mucchi dell’Acquasola‘ – spiega il ricercatore – vale a dire quel posto dove dal medioevo in poi venivano smaltite e sepolte le carogne di animali, appunto in mucchi”. Ma poi arriva la peste del 1655-56, e da smaltire ci sono invece i corpi dei genovesi appestati. “E’ stata una epidemia gravissima, che ha ridotto la popolazione genovese da circa 100mila abitanti a 30mila in pochi mesi. Una ecatombe che produceva una media di circa duemila cadaveri al giorno. Una quantità di corpi impressionante, da smaltire in modo rapido e con sempre meno forza lavoro – spiega Saj – Per questo la nostra ipotesi e che la zona dei mucchi dell’Acquasola venne scelta come soluzione più pratica e praticabile per liberare le strade e le case dalle carcasse di quei poveri genovesi”. Una ricostruzione coerente con il fatto che il principale ospedale della città dell’epoca, Pammatone – oggi inglobato nel Palazzo di Giustizia – di fatto si trova a poche decine di metri dal sito.

Una pagina tragica della storia genovese, immortalata in tanti dipinti e scritti dell’epoca e delle epoche successive – come ricordato nel documentario del Css – e che portò ad una vera e proprio decimazione della popolazione della nostra città. Ma dell’ossario nessuna traccia. Passano i decenni, passano i secoli, e si perde la memoria di quel cimitero emergenziale. Fatto sta che con ogni probabilità quando inizino gli scavi per le costruzioni della spianata, queste ossa riemergano: “Negli scritti del Barabino non si trova traccia di questo, ma la nostra ipotesi è che queste fosse comuni vennero rinvenute durante gli scavi e che la sensibilità religiosa dell’epoca – di lì a pochi anni sarebbe sorto anche il Cimitero Monumentale di Staglieno, commissionato nel 1835 allo stesso Barabino – impose di trovarne una collocazione dignitosamente cristiana. Da qua forse l’idea di usare i corridoi di questo bastione che sarebbe stato poi tombato come ultimo ossario per questi disgraziati”.

Ossario Acquasola
L'ipotesi sulle modalità di riempimento dell'ossario

Una ipotesi che potrebbe essere confermata anche dalla sistemazione delle ossa: “In questi cunicoli sono disposte come se fossero state scaricate da una botola dall’alto, e accatastate per lo più ai bordi dei passaggi. Il bastione aveva dei pozzetti che mettevano in comunicazione i vari livelli della struttura per le operazioni di carico e scarico del materiale militare. Immaginiamo che l’operazione sia stata condotta da uomini che prendevano dall’alto le ossa e i teschi e li sparpagliavano li dentro. Come atto finale, una volta usciti, hanno scaricato le ultime richiudendo tutto. La prova di questa operazione è quello che noi abbiamo ribattezzato il ‘totem delle ossa’, vale a dire un catasta di scheletri che raggiunge il soffitto proprio in corrispondenza di una di queste aperture”. Una circostanza che di fatto ha “regalato” agli esploratori, e a noi tutti, l’iconica piramide di ossa e teschi che è diventata il simbolo di questo ossario.

ossario acquasola
Il camminamento con sullo sfondo il 'totem delle ossa'

 

Il futuro dell’ossario

Oggi lo studio di questo sito prosegue: “Il valore di questo ritrovamento è davvero unico al mondo per tanti motivi, storici, archeologici, antropologici e anche medici – osserva Stefano – poichè non ci sono altri esempi conosciuti di una concentrazione tale di resti umani così conservati e di tutti i tipi – gli scheletri sono di uomini, donne, vecchi e bambini – relativi ad un evento storico così breve e circoscritto come la peste del seicento”.

Un valore che oggi potrebbe essere diventare fruibile anche dal grande pubblico? Chiediamo a Stefano, pensando che nel 2025 – secondo la ricostruzione storica fatta – cade il bicentenario di questo ossario, proprio nell’anno in cui Genova celebrerà l’anno dedicato all’Ottocento : “E’ una questione molto delicata – spiega Saj – in primis per la conservazione di questo sito e di queste ossa. Per renderlo visitabile, anche dal grande pubblico, bisognerebbe creare le condizioni per farlo, sia dal punto di vista della sicurezza del bene, sia dal punto di vista della logistica di accesso. Oggi per entrare ci si deve calare per venti metri in un pozzetto stretto meno di un metro. Non per tutti sicuramente. Non credo, però, sia una cosa impossibile, servirebbe un progetto di altissimo profilo, con i fondi necessari e credo cospicui. Spero di vederlo un giorno realizzato, sarebbe un sogno per me e una grande tesoro per tutta la città di Genova che potrebbe vantare uno dei siti archeologici più sensazionali e affascinanti al mondo“.

Nel frattempo, però, i ragazzi e le ragazze del Centro studi sotterrai, continuano a studiare il sempre sorprendente sottosuolo genovese. Proseguono le visite alla cittadella del bunker di Campi, scavato per centinaia di metri sotto la collina di Coronata durante la seconda guerra mondiale e continua lo studio di quello riscoperto sotto Villetta di Negro. “Speriamo presto di riprendere le visite all’interno di Ponte Monumentale, oggi sotto manutenzione – sottolinea Stefano Saj – è un sito incredibile e apprezzatissimo da chi viene a visitarlo”. E non mancano le sorprese, che potrebbero essere svelate già in un prossimo futuro. Un lavoro unico e inestimabile quello condotto da anni da Stefano e dai suoi collaboratori, che oltre alla finalità della ricerca storica, urbanistica e speleologica aggiunge l’altrettanto prezioso obiettivo della condivisione e della divulgazione. Un opera che si può sostenere partecipando alle attività pubbliche e alle tante iniziative che vengono organizzate del Css. Un modo unico per entrare anima e corpo nel cuore – e nel profondo – della storia della nostra città e contribuire in maniera determinante alla conservazione della sua memoria.

 

 

 

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