Le indagini

Delitto del trapano, i pm chiedono di arrestare il carrozziere indagato per l’omicidio di Luigia Borrelli

Per la Procura l'uomo, che all'epoca aveva 36 anni, ha agito con crudeltà come dimostrano i 15 fori di trapano sul collo della donna già tramortita dopo essere stata colpita con uno sgabello. Il gip ha detto no, ma la procura ha fatto appello al Riesame

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Genova. Avrebbe ucciso Maria Luigia Borrelli con l’obiettivo di rapinarla agendo quindi per futili motivi e crudeltà come dimostrano i 15 fori di trapano rilevati sul collo e sul torace della ex infermiera uccisa il 5 settembre 1995 in Vico degli indo tori nel centro storico di Genova. La donna era stata precedentemente colpita a calci e pugni e poi con uno sgabello che l’ha tramortita.

Per questo la Procura di Genova, che per quel delitto ha iscritto nel registro degli indagati un carrozziere di 65 anni che vive nel quartiere di Marassi, aveva chiesto la custodia cautelare, richiesta che tuttavia a luglio è stata respinta dal gip Alberto Lippini.

Secondo il giudice, che avrebbe confermato tuttavia la gravità del quadro indiziario, i 29 anni trascorsi dal delitto non consentono di rilevare la sussistenza concreta delle esigenze cautelari, vale a dire il rischio di reiterazione del reato, il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

I pm: “E’ ludopatico, può commettere altri reati”

Per la procura invece non è così e a dimostrarlo ci sarebbero anche i sequestri effettuati ieri nell’abitazione e nell’officina dove l’uomo lavora come dipendente: i militari della Guardia di Finanza insieme agli investigatori della Squadra Mobile hanno trovato infatti numerose e consistenti giocate mentre i precedenti accertamenti mostrerebbero come il 65enne  abbia contratto quasi continuativamente nel tempo ingenti debiti.

Secondo la Pm Patrizia Petruzziello anche oggi potrebbe commettere delitti analoghi per per far fronte alla ludopatia da cui è affetto e alla cronica mancanza di denaro.

La procura contro la decisione del gip di rigettare la richiesta di custodia cautelare ha presentato appello davanti al tribunale del riesame. L’udienza si terrà il 23 settembre ed è stata notificata all’indagato, assistito dall’avvocata Chiara Santinelli.

L’accusa: “Assassino voleva derubarla dell’incasso della giornata”

L’omicidio è stato commesso secondo gli inquirenti a scopo di rapina, o ne è stata una drammatica conseguenza. Il carrozziere, che risiede nel quartiere di Marassi, come la vittima forse la conosceva. Sapeva che “Luigia” e “Antonella” erano la stessa persona e che con questo lavoro – di cui tutti compresi i figli – erano all’oscuro – le rendeva bene e di ripagare gli strozzini che la assediavano dopo la morte del marito. Così ha deciso di agire proprio a fine giornata. L’autopsia aveva chiarito che la 42enne era stata assassinata tra le 21 e le 23 del 5 settembre 1995, proprio all’ora in cui, dopo aver ricevuto l’ultimo cliente, si apprestata a tornare a casa in via Monticelli a Marassi.

 

Il delitto efferato scoperto la mattina dopo

Era stata la figlia Francesca, che allora aveva 19 anni, ad allarmarsi quando la mattina dopo aveva visto che la madre non era rientrata a casa. E così aveva chiamato Adriana Franega, la donna la madre aveva raccontato di fare assistenza come infermiera privata.

Francesca, come il fratello Roberto, non sapevano che la mamma aveva una doppia vita, costretta a prostituirsi perché assediata dagli strozzini dopo che il marito era morto lasciandola in una mare di debiti. Circa 250 milioni di vecchie lire.

Adriana Franega in realtà era un’ex prostituta proprietaria del basso che Luigia Borrelli aveva affittato per ricevere i clienti. Fu lei quella mattina ad aprire la saracinesca del basso e a trovarsi di fronte a un omicidio efferato. Luigia Borrelli era a terra tra il letto e il televisore acceso, in una pozza di sangue. Il trapano con la punta conficcata nella gola della donna. E altri 14 fori tra il collo e il torace. Ma prima Borrelli era stata trattenuta a forza, picchiata con calci e pugni, colpita in testa con uno sgabello. Dalla borsa mancava il portafoglio con l’incasso.

Sulla scena del crimine fin da subito gli investigatori avevano trovato tracce di dna maschile perché la donna con le unghie aveva ferito l’assassino. E solo oggi, dopo 29 anni e grazie alle nuove tecniche di analisi e comparazioni, gli investigatori a quell’assassino pensano di aver dato un nome e cognome.

 

 

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