L'analisi dell'omicidio

Delitto del trapano, gli psichiatri: “Delitto d’impeto con rabbia crescente e incontrollata, ma l’assassino era lucido”

I consulenti Pietrini e Garofano: “Ha richiuso perfettamente saracinesca e lucchetto. Sapeva dove erano le chiavi perché era già stato nel basso di vico Indoratori”

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Genova. Fortunato Verduci, il carrozziere accusato dell’omicidio di Luigia Borrelli, conosceva la sua vittima e probabilmente era stato diverse volte nel basso di vico Indoratori. Sono diversi gli elementi che portano a ritenere l’accusa che i due si conoscessero. Abitavano nello stesso quartiere a Marassi e Verduci conosceva – attraverso il suocero – Ottavio Salis, il proprietario del trapano (morto suicida dopo essere stato indagato all’epoca del delitto e soprattutto dopo che era emerso essere un cliente innamorato di Borrelli). Inoltre, prima dell’efferato delitto i due avevano fumato insieme almeno “un paio di sigarette”, senza consumare un rapporto sessuale, come se avessero fatto una lunga chiacchierata, abitudine che fra l’altro secondo quanto emerso già dalle indagini dell’epoca, ‘Antonella’ aveva con i suoi clienti più affezionati.

Ma tra gli elementi che indicano che l’assassino conosceva il basso di vico Indoratori 64 c’è soprattutto il fatto che dopo l’omicidio l’assassino ha perfettamente richiuso la saracinesca del basso, nello stesso modo in cui lo chiudeva la vittima ogni sera, trovando le chiavi e il lucchetto.

A sottolinearlo la consulenza psichiatrica forense affidata questa primavera dalla pm Patrizia Petruzziello allo psichiatra Pietro Pietrini e allo psicologo forense Marcello Garofano a cui è stato chiesto di analizzare le “modalità comportamentali” dell’assassino.

“Così come emerge dalle prime testimonianze riportate, è plausibile affermare che l’autore del reato sapesse dove fossero custodite le chiavi e il lucchetto Sargent, utilizzati per chiudere la porta di ingresso e la serranda del fondo (infatti, erano chiuse come le chiudeva abitualmente la defunta). Questo, fa ritenere che l’assassino conoscesse la vittima e avesse già frequentato prima del omicidio il luogo del delitto”.

Non solo. Questo elemento è secondo gli psichiatri indicativo del fatto che l’assassino non sia “un soggetto in preda ad una crisi psicotica”. “Basti pensare – spiegano – tra le altre cose, al fatto che l’assassino mantiene lucidità e controllo sufficienti a chiudere con il lucchetto la saracinesca del locale, dopo aver tirato anche la tenda che separava la zona da letto”. Inoltre, dopo aver rubato il portafoglio con tutti il denaro che Borrelli aveva guadagnato nella giornata di lavoro, aveva sparso alcuni preservativi per la stanza.

Per i consulenti si tratta invece di “un reato d’impeto, scaturito improvvisamente da uno stato emotivo o passionale (paura, ira, passione, emozione, provocazione, ferite narcisistiche ecc.), il quale ha innescato la messa in atto di agiti etero distruttivi repentini e di crescente intensità violenta”. La relazione parla di una “aggressività reattiva” poiché “i numerosi colpi inferti alla vittima denotano l’incapacità dello stesso di fermarsi a seguito dell’esplosione di una rabbia improvvisa, impulsiva e incontrollata”.

L’assassino “ha oltrepassato l’obiettivo insito nell’azione criminale, ovvero quello di uccidere”, poiché ha “dapprima aggredito la vittima e le ha infitto con lo sgabello numerosi colpi sula resta e il corpo che le hanno causato gravissime lesioni. compresa la frattura della base cranica, e l’hanno resa completamente inerme, non responsiva e agonizzante”. A questo punto, “si è impadronito di un trapano elettrico (non è dato sapere se fosse già fuori della scatola e “pronto all’uso o se l’assassino sia andato a cercarlo in casa) e con questo attrezzo ha continuato ad infliggere sul corpo inerme e agonizzante della vittima ben 15 fori. come se volesse sfigurare, rovinare e oltraggiare l’integrità fisica della Borrelli, lasciando poi il trapano conficcato nel collo della stessa”.

Circa l’uso del trapano, gli psichiatri hanno cercato in ‘letteratura’ e negli archivi giudiziari, delitti compiuti con la stessa arma “sia a livello nazionale che internazionale”, ma l’esito è stato negativo. Il ‘delitto del trapano’, anche a 29 anni di distanza, resta al momento un ‘unicum’ nella sua efferatezza e crudeltà.

Lunedì 23 settembre davanti al tribunale del Riesame si terrà l’udienza in cui la Procura di Genova ribadirà la richiesta di arrestare il carrozziere 65enne, seppur a 29 anni da quei fatti. L’uomo, difeso dagli avvocati Nicola Scodnik e Giovanni Ricco, è stato identificato e indagato grazie alla prova del Dna lasciato sulla scena del crimine e comparato dopo che dalla banca dati nazionale era risultato ‘compatibile’ con quello di un cugino di Verduci arrestato nel 2016. Quando gli investigatori della squadra mobile hanno poi acquisito di nascosto il Dna di Verduci grazie a una sigaretta e a un bicchierino di caffé, la nuova comparazione genetica ha riportato una corrispondenza del 100%.

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