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Quando si vota in Liguria se Toti si dimette? Tutti gli scenari possibili secondo la legge

L'ipotesi più probabile: dimissioni entro agosto e nuove elezioni a novembre. Il professor Matteo Cosulich: "Terzo mandato? Tecnicamente avrebbe avuto ragione"

giovanni toti

Genova. Le dimissioni del presidente ligure Giovanni Toti, agli arresti domiciliari per corruzione e finanziamento illecito dallo scorso 7 maggio, sembrano sempre più probabili. Di pari passo si avvicina il momento di nuove elezioni regionali, in anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato. Ma quali sono davvero i tempi per tornare al voto una volta caduta la giunta? Per fare chiarezza abbiamo interpellato Matteo Cosulich, professore genovese, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Trento, tra i massimi esperti di ordinamenti regionali italiani.

“Dal momento della data della presa d’atto delle dimissioni da parte del Consiglio regionale si deve considerare un paio di mesi, in virtù della disciplina della legge 108 del 1968 e successive modifiche – spiega Cosulich -. Le Regioni potrebbero disciplinare in autonomia la materia, ma la Liguria non l’ha fatto. Le elezioni deve indirle il vicepresidente, che sostituisce il presidente in caso di impedimento temporaneo, d’intesa col presidente della Corte d’Appello, come previsto dalla legge regionale 18 del 2020″.

Quindi il termine è effettivamente di 60 giorni a partire dal giorno in cui le dimissioni vengono presentate all’assemblea legislativa, come specificato dalla legge 165 del 2004. Tuttavia l’iter può essere “diluito” per guadagnare un po’ di tempo. Se Toti dovesse dimettersi tra una settimana – ipotesi non irrealistica – la prima seduta del Consiglio verrebbe convocata verosimilmente tra fine agosto e inizio settembre. A quel punto le elezioni si svolgerebbero naturalmente tra ottobre e novembre.

In base a questo ragionamento, la condizione per andare a votare in autunno è che Toti rassegni le dimissioni entro la fine di agosto, in modo che il Consiglio regionale possa prenderne atto alla ripresa. Ad oggi appare probabile che lo faccia anche prima, sia perché la compattezza della maggioranza sembra essere venuta meno su alcuni temi caldi (su tutti il rigassificatore a Savona-Vado) sia perché a giorni potrebbe arrivare la richiesta di giudizio immediato da parte della Procura, circostanza che aprirebbe al prolungamento degli arresti domiciliari per un anno.

Secondo l’interpretazione degli uffici del Consiglio regionale, tuttavia, il termine sarebbe di tre mesi in base alle disposizione della legge costituzionale 1 del 1999.  “Il problema – commenta il giurista – è che si tratta di una disposizione transitoria non più applicabile, in quanto andava osservata sino alla data di entrata in vigore dello Statuto regionale, che risale al 2005, quasi vent’anni fa. D’altra parte la legge regionale 18 del 2020 rinvia alla legge 108 del 1968, ulteriore argomento per escluderne l’applicabilità: quod lex noluit tacuit“.

In realtà c’è un elemento ancora più importante da considerare. “Per fissare la data basterebbe un decreto legge dello Stato che accorpi le elezioni regionali per ragioni di efficienza”, spiega Cosulich. È il cosiddetto election day, diventato ormai una prassi negli ultimi anni. “Non è un’eventualità rara, anche se non è molto elegante. Ed è probabile che il governo giochi di sponda con la Regione”. Ecco perché l’ipotesi più accreditata è che la Liguria, qualora la giunta cadesse nelle prossime settimane, possa andare al voto insieme a Umbria ed Emilia-Romagna in una data ancora da fissare, probabilmente a inizio novembre.

Se invece il governatore decidesse di rimandare la decisione, incalzato magari da una parte della maggioranza per prendere tempo e organizzare al meglio la prossima campagna elettorale, è possibile che il voto in Liguria slitti alla finestra successiva, probabilmente a marzo insieme all’Abruzzo. Ma non si tratta di un obbligo: anzi, la volontà di sbloccare l’impasse in cui è finita la Regione potrebbe suggerire l’opportunità di andare a elezioni il prima possibile secondo la disciplina vigente. Perciò, come dicevamo prima, nell’arco di due mesi.

Che ne sarà di Toti una volta lasciato l’incarico è una delle grandi incognite del momento. È pressoché certo che gli arresti domiciliari verranno revocati non appena tornerà un “normale cittadino”, dato che finora la Procura e la gip hanno associato il rischio di reiterazione di reato alla sua permanenza in carica. Potrebbero sussistere alcune misure cautelari, come l’obbligo di dimora ad Ameglia o il divieto di dimora a Genova. Probabilmente nulla vieterebbe a Toti di partecipare più o meno attivamente alla campagna elettorale, anche perché i suoi fedelissimi hanno già detto chiaro che la sua lista civica non si farà da parte.

L’avvocato Stefano Savi, prima che il Riesame confermasse i domiciliari, ha dichiarato che Toti non si ricandiderà al terzo mandato. Difficile pensare che il centrodestra ci stesse pensando dopo la bufera giudiziaria. Ma il presidente avrebbe potuto provarci, nonostante lo stop del governo Meloni?

Il margine c’era, secondo il professor Cosulich: “Lo Stato ha previsto il divieto del terzo mandato in una legge cornice del 2004 che dovrebbe dettare i principi che le Regioni applicano – spiega -. Il problema è che questo non è un principio, ma un comando esplicito. La Regione Liguria, che non ha recepito questa norma, avrebbe potuto prevedere la possibilità del terzo mandato e poi sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, oppure Toti avrebbe potuto candidarsi direttamente resistendo in giudizio contro lo Stato. E tecnicamente avrebbe avuto ragione“.

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