Savona. Un architetto operante nel Genovesato – il cui nome per ora non è stato reso noto – in è finito in carcere nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Savona per una maxi frode fiscale sui bonus edilizi, insieme a un imprenditore e un geometra. Le ordinanza di custodia cautelare sono state eseguite nei giorni scorsi dalla guardia di finanza.
I militari hanno eseguito perquisizioni presso le sedi di alcune società edili operanti nel territorio ingauno, alassino e imperiese, nonché presso gli studi professionali di un geometra e di un commercialista, al momento indagati a piede libero. Sono state anche eseguite tre misure cautelari della custodia in carcere poi sostituite da misure interdittive del divieto di esercitare l’attività professionale per un anno ad un geometra e ad un architetto. Inoltre sono stati sequestrati crediti, quote societarie, liquidità, beni mobili ed immobili, tra cui un veicolo Mercedes di pregio ed alcune autovetture Ford d’epoca, per un valore di circa un milione e mezzo di euro.
I reati contestati riguardano l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, turbativa d’asta, falso in atto pubblico e l’indebita percezione degli incentivi legati ai bonus edilizi del decreto Rilancio.
Le indagini sono partite dagli esposti presentati da alcuni privati cittadini che lamentavano di aver stipulato contratti per la realizzazione di lavori edilizi che non erano stati portati a termine nei tempi previsti o, in alcuni altri casi, mai iniziati.
Le indagini delle Fiamme Gialle savonesi, condotte anche mediante attività tecniche, analisi dei conti correnti, capillare utilizzo delle performanti banche dati in uso al corpo, abbinate ad attività di osservazione e controllo finalizzate a verificare lo stato di avanzamento dei lavori nei cantieri, hanno permesso l’acquisizione di materiale probatorio a seguito del quale il gip ha emesso l’ordinanza ravvisando gravi indizi di un accordo fra gli indagati (un architetto, un geometra, un mediatore), volto a precostituire crediti fiscali fittizi i quali, una volta formalizzati venivano in alcuni casi direttamente compensati dalle imprese coinvolte nella frode, con conseguenti vantaggi sul piano tributario, o ceduti a terzi a titolo oneroso.
Le indagini hanno consentito di accertare come, nella maggior parte dei casi, i lavori sui quali le società vantavano gli asseriti crediti fiscali non fossero mai stati eseguiti, in toto o parzialmente, e come i soggetti economici in rassegna, sulla carta operativi, nei fatti fossero invece privi di capacità reddituali e di dipendenti necessari per poter eseguire i lavori, bensì costituiti con l’unico scopo di creare crediti fittizi, nell’ottica di un indebito utilizzo degli stessi ovvero di una successiva cessione.