Tradizioni

Carloforte e la storia di un legame indissolubile con Genova che dura da 500 anni fotogallery

Sull'Isola di San Pietro, a 800 km da Genova, si parla il genovese di Pegli e si continua a tramandare ai bambini

carloforte

Genova. “Son 500 anni che manchemmo da cà”. È una frase, detta in una conversazione tra un genovese e un carlofortino, a mostrare quanto sia ancora saldissimo il legame che la comunità di Carloforte sente con le proprie origini genovesi, pegliesi per la precisione. Un legame più saldo di una gomena e ancora molto forte, che si rinnova ogni anno grazie alle visite reciproche dei carlofortini in Liguria e dei liguri sull’Isola di San Pietro come in occasione della festa patronale di San Pietro, che si è appena conclusa sull’isola, anzi, sull’uiza. Un legame mantenuto grazie all’ostinazione dei carlofortini nel tramandare dialetto e cucina, sempre ancorati alle tradizioni genovesi. Per questo è molto più facile trovare qualcuno con cui parlare in genovese/tabarkino a 800 chilometri dalla Liguria e il sorriso aperto che fanno i carlofortini quando capiscono che qualcuno è arrivato da Genova è di quelli che scaldano il cuore.

La storia di Carloforte, è ormai nota da tempo: nel XVI Secolo un gruppo di pescatori e commercianti pegliesi si erano stabiliti sull’isola tunisina di Tabarka a raccogliere corallo per conto dei Lomellini. Nel 1700 gli affari andavano meno bene e i rapporti con i tunisini ancora peggio: i corsari fiancheggiati dai Bey di Tunisi e Algeri cominciarono a taglieggiare le barche da pesca e la popolazione. Così, nel 1738, alcuni tabarchini, con a capo Agostino Tagliafico, ricevettero dal re Carlo Emanuele III di Savoia un luogo per continuare in tranquillità i loro commerci: l’Isola di San Pietro era disabitata all’epoca e il re voleva popolarla per trasformarla in un centro fortificato contro i pirati. Ecco allora l’accordo: mediante una regolare infeudazione, l’isola degli Sparvieri, oggi chiamata isola di San Pietro, nella parte Sud Ovest della Sardegna, proprio di fronte a Sant’Antioco, venne colonizzata dai primi 462 abitanti, in gran parte provenienti proprio da Tabarka e altri dalla Liguria. Costruire una cittadina dal nulla non fu facile, ma l’operosità ligure fece scuola anche lì: terrazzamenti per le coltivazioni, abilità commerciale senza pari che venne favorita dalla pesca dei tonni e dalle saline. 
In onore del re venne eretta una statua nella piazza principale del paese e l’unico insediamento sull’isola venne chiamato Carloforte (Forte di Carlo). Un secondo insediamento di coloni provenienti da Tabarka arrivò nel 1770  e rimase nella vicina isola di Sant’Antioco, dove fu fondato il paese di Calasetta e dove ancora è possibile trovare chi parla in dialetto anche se con qualche differenza rispetto ai carlofortini.
Nel tardo 1800 l’isola diventa un importante centro minerario: i tabarchini divennero trasportatori di minerale (galanzieri), che recuperano dalle miniere della costa, portandolo in città, su barche a vela latina, conosciute come galanze. Tale lavorazione veniva in gran parte fatta a mano con ceste di circa 50 kg portate dagli uomini sulle spalle. Visto il lavoro duro e spesso poco pagato, prese piede un movimento socialista capitanato da Giuseppe Cavallera che sfociò negli scioperi del 1897 e 1899 a Carloforte. L’estrazione mineraria proseguì fino agli anni settanta del XX secolo. Oggi l’economia carlofortina si basa sulla pesca al tonno di corsa, con l’ingegnoso meccanismo della tonnara, che per due mesi è visibile al largo dell’isola e sull’abilità marinaresca che i suoi abitanti portano un po’ in tutto il mondo grazie agli studi nell’istituto nautico sull’isola.

Dopo tutto questo tempo della permanenza africana resta qualche traccia in alcune specialità gastronomiche come il cascà (il cous cous alla carlofortina), la coltivazione della facussa (una specie di cetriolo molto più digeribile) e in alcuni termini, come quello che designa il quartiere di Casséba, derivato dall’arabo Qasba. Resta invece vivissimo l’attaccamento dei carlofortini all’identità e alle radici liguri. L’accento, particolarissimo, è tipico di Pegli, con la pronuncia delle o al posto delle a e una speciale cadenza. Alcune parole differiscono (per esempio çetrón, arancio, a Carloforte è conosciuto come portogâ, la stanza si chiama càmia e non stànsia, mentre il tipico balcone delle case carlofortine si chiama galaia e non pogiölo).

Evidenti, oltre che nella lingua, la vicinanza con Genova anche nel patrimonio di piatti tipici rivisitati con il tesoro dell’isola, il tonno (che ha rischiato di sparire del tutto a causa della presenza del polo industriale metallurgico di Portovesme con il crollo nel passaggio dei pesci attorno agli anni Ottanta del Novecento): il pasticcio carlofortino prevede il condimento della pasta con il pesto genovese, la buzzonaglia di tonno in scatola (ossia la parte scura) e la salsa di pomodoro. Il pesto alla carlofortina ha la variante del tonno e dei pomodorini entrambi freschi.
Uno dei dolci tipici è il canestrello, che a Genova è rimasto come tradizione solo a Pasqua e nell’evoluzione a cestino con le uova intere, mentre sull’isola la piccola ciambella fatta di farina, zucchero, strutto, uova, lievito, aromatizzata con scorza di limone e finocchietto e guarnita quasi sempre con una glassa d’albume è proposta sia nei ristoranti, sia negli hotel a colazione. Nella cucina tabarchina si sono così conservate forme più arcaiche di alcune specialità liguri, una sorta di libro di storia della cucina genovese.

Proprio in virtù dei legami storici e culturali con Genova, e in particolare con Pegli, il 10 novembre 2004 Carloforte è stato riconosciuto comune onorario dalla Provincia di Genova e ogni anno rinnova celebrazioni di gemellaggio con Pegli; il paese è inoltre gemellato con Camogli.
I camoglini hanno partecipato con il dragun, imbarcazione a remi e a vela con caratteristiche tipiche dello Sciabecco e della Galea, proprio alla recente processione in onore di San Pietro il 29 giugno scorso e in occasione dei 70 anni della Pro Loco di Carloforte. Un evento che testimonia quanto il mare sia importante per i carlofortini con la cassa di San Pietro, pescatore, portata in processione sul mare, con una fila di barche al seguito per tutto il porto di Carloforte. A rafforzare la vicinanza genovese anche i cristezzanti di Murta arrivati quest’anno per l’evento religioso. Il Cristo di Carloforte, invece, è stato fatto a Multedo.
A novembre, invece, a Pegli si celebra la Madonna dello Schiavo (15 novembre) con una messa alla chiesa dell’Immacolata.

Per chi volesse seguire le vicende dei concittadini carlofortini su Facebook è molto attiva Radio San Pietro, che propone anche un Gr Tabarchino. Sempre su Facebook è sempre aggiornata anche una pagina Per non perdere il tabarchino.

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