Genova. E’ cominciato effettivamente questa mattina davanti alla Corte d’assise di Genova presieduta dal giudice Massimo Cusatti il processo per l’omicidio di Mahmoud, il diciottenne egiziano ucciso e fatto a pezzi dai suoi datori di lavoro. Una settimana fa l’udienza era stata rinviata a causa del malore di uno degli imputati.
In aula oggi erano presenti entrambi gli imputati: Mohamed Ali Abdelghani Ali, detto Bob (difeso dall’avvocato Sanvatore Calandra) e Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto Tito (difeso da Fabio Di Salvo). Sono accusati di omicidio volontario in concorso aggravato dalla premeditazione e dai motivi abietti e futili oltre che di occultamento di cadavere.
Stamati il tenente del nucleo investigativo del comando provinciale di Genova Alfonso Bellacosa ha ricostruito passo passo le indagini che hanno consentito di arrivare agli autori del terribile delitto, dai macabri ritrovamenti delle mani sulla di Chiavari e nel corpo senza mani e senza testa al largo di Santa Margherita alle analisi sui telefoni (tabulati e celle telefoniche e sulle telecamere di sorveglianza che hanno consentito di ricostruire minuziosamente gli spostamenti degli imputati così come della vittima.
Mahmoud, come ha spiegato in aula il tenente riassumendo le prime audizioni dei testimoni (che saranno sentiti nella prossime udienze), voleva lasciare il lavoro perché era sottopagato e aveva chiesto di avere i soldi che gli spettavano. E “Alì [il titolare della barberia che si trovava in Egitto il giorno dell’omicidio, ndr], Tito e Bob non erano contenti di questa decisione” ha detto Bellacosa.
Il giorno precedente all’omicidio Mahmoud aveva fatto le prove di taglio in un’altra barberia appena aperta a Pegli. Era contento, aveva anche postato delle foto sui social e aveva chiesto al titolare anche ospitalità per la notte visto che lasciando la Barberia di via Merano non poteva più usufruire del dormitorio di via Vado pagato appunto dai proprietari della barberia di Sestri. E la domenica mattina fino alle 14 aveva nuovamente lavorato in quello che doveva essere il suo nuovo posto di lavoro. Però aveva contattato Tito e Bob per avere i soldi arretrati.
E loro lo hanno attirato nell’appartamento di via Vado, in quella che secondo l’accusa è stata una vera e propria trappola mortale. Lo hanno accoltellato a morte in quell’appartamento e poi, a bordo di un taxi, con il cadavere del ragazzo in una valigia sono andati a Chiavari (dove gestivano un’altra barberia) e nella notte hanno portato il corpo sulla spiaggia, gli hanno tagliato la testa e le mani gettando i resti in mare. I due sostanzialmente hanno ammesso il delitto seppur scaricandosi addosso a vicenda parte delle responsabilità . Tito in particolare ha detto che era stato il giovane a tirargli un pugno e che poi nella colluttazione sarebbe finito sopra il coltello, ricostruzione incompatibile con le lesioni riportate.
La prossima udienza è fissata per il 20 giugno quando sarà sentito il fratello di Mahmoud e i primi testimoni chiamati dalla pm Daniela Pischetola.