Genova. “Una volontà di imporre, evidentemente, il proprio controllo sul gruppo di giovani egiziani da loro gestito, così da dimostrare ed affermare a tutti l’impossibilità di discostarsi dai loro voleri”. Sarebbe questo il movente che portato Mohamed Ali Abdelghani Ali, detto Bob e Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto Tito a uccidere il 23 luglio scorso il 18enne Mahmoud Abdalla e e a mutilarne il corpo. perché voleva lasciare il lavoro e denunciarli alla polizia perché lì si sentiva sfruttato.
Mahamoud sosteneva infatti che in quella barberia di via Merano avevano contratti da 4 ore e ne lavoravano 12 e aveva molti stipendi arretrati per qualche migliaio di euro. E dopo la ‘ribellione del 18enne, un altro ragazzo aveva deciso di andarsene per la stessa ragione. Scatenando probabilmente anche per questo la rabbia dei suoi datori di lavori.
Ma i due imputati non hanno mai collaborato con gli inquirenti, neppure nel far comprendere il ruolo nella vicenda di Alì, il proprietario della barberia. Alì era tornato in Egitto un mese prima dell’omicidio, ma sapeva tutto di quel che accadeva nel suo negozio e la sera dell’omicidio aveva chiesto a Tito di cancellare tutte le loro conversazioni. Secondo la pm Alì è un “soggetto che con ogni probabilità ben sapeva molte cose, ma il cui esatto ruolo non è stato possibile appurare con sufficiente certezza”, a causa della “comune scarsa collaborazione sul punto degli arrestati.
In ogni caso per il pm Daniela Pischetola, che ha chiesto il rinvio a giudizio per Tito e Bob, “il concorso di entrambi gli imputati nell’omicidio pare in ogni caso evidente e desumibile dai comportamenti da loro posti in essere sempre insieme, sia prima dell’uccisione del giovane Abdalla, sia dopo la stessa; da tali comportamenti, infatti, è evincibile una assoluta comunanza ed armonia di intenti, di avversione verso la vittima per le decisioni che aveva preso e per le azioni che stava per intraprendere, di atteggiamenti minacciosi ed aggressivi, sia verso la vittima che verso i terzi ed una totale compartecipazione e sintonia di entrambi in tutte le iniziative assunte”.
I due sono accusati di omicidio volontario in concorso aggravato dalla premeditazione e dai motivi abietti e futili oltre che di occultamento di cadavere. L’udienza preliminare è stata fissata al prossimo 19 aprile davanti alla gup Angela Nutini.
Secondo l’accusa nel pomeriggio del 23 luglio Tito e Bob avevano convocato in una trappola mortale il ragazzo che voleva il suo stipendio e voleva trovare un lavoro migliore. Lo hanno accoltellato a morte in quell’appartamento e poi, a bordo di un taxi, con il cadavere del ragazzo in una valigia sono andati a Chiavari e nella notte hanno portato il corpo sulla spiaggia, gli hanno tagliato la testa e le mani gettando i resti in mare. Per quell’omicidio Bob e Tito, sono stati arrestati grazie alle indagini dei carabinieri guidati da Michele Lastella, che hanno ricostruito meticolosamente i movimenti degli indagati prima e dopo il delitto anche grazie alle numerorissime telecamere di sorveglianza. I due sostanzialmente hanno ammesso il delitto seppur scaricandosi addosso a vicenda parte delle responsabilità . Tito in particolare ha detto che era stato il giovane a tirargli un pugno e che poi nella colluttazione sarebbe finito sopra il coltello, ricostruzione incompatibile con le lesioni riportate.
Dopo il rinvio a giudizio il processo si svolgerà quindi davanti alla Corte d’assise presieduta dal giudice Massimo Cusatti. Tito e Bob rischiano di essere condannati all’ergastolo.