Genova. Macché assalto ai cimiteri. La commemorazione dei defunti, il popolare “giorno dei morti” fissato al 2 novembre, è una tradizione che va tramontando. Anzi, forse è proprio il culto del caro estinto a non avere più chance di sopravvivere, se è vero quello che dicono i freddi numeri e le voci di chi lavora tutti i giorni nel settore.
“Di anno in anno c’è sempre meno gente. Basta guardarsi attorno. Non c’è la ressa che avrebbe dovuto esserci anni fa. Una volta il 2 novembre era come una processione”. Marisa fa la fiorista ed è qui “da più di cinquant’anni”. All’entrata di Staglieno, il più grande camposanto della città, la mattinata scorre tranquilla senza particolare affollamento. Certo, c’è più gente del solito, ma il pubblico tutto sommato è quello di sempre. Ogni tanto qualcuno passa a chiedere un fiore e non c’è bisogno di fare la coda.
“Cosa comprano? Crisantemi, mazzetti. Roba bella che costa poco – prosegue Marisa -. Poi magari c’è chi vuole una rosa o un fiore pregiato”. Ci spostiamo di qualche metro e la musica non cambia. “Spendono 5-10 euro, magari chi ha più tombe arriva anche a 20, ma sono casi rari – racconta Patrizia -. Incide la crisi, ma soprattutto il fatto che ormai pochissime persone si fanno tumulare o seppellire. E così i cimiteri si svuotano e questo ricade su di noi. Ieri e oggi abbiamo venduto qualcosa, sì, ma con questo ‘target’ sempre meno, sono quasi solo anziani”.
Le testimonianze dirette combaciano coi dati. Crescono le cremazioni ma anche gli affidi diretti dell’urna (quasi mille a fine ottobre, mentre in tutto il 2018 erano stati 1.131), una tendenza al risparmio che rende il cimitero un luogo sempre più ‘inutile’. Lo dimostrano le loro pessime condizioni, che abbiamo documentato nel nostro recente reportage: sempre meno concessioni vengono rinnovate e sempre meno risorse vengono destinate alla manutenzione.
E così gli habitué del 2 novembre, spesso, sono anche coloro che vengono a trovare i propri cari senza una ricorrenza precisa. “Noi siamo qui tutte le domeniche, i giovani chissà se manterranno questa tradizione”, racconta una coppia di sessantenni. “L’educazione che abbiamo ricevuto è questa, andare a portare almeno un fiore, è il ringraziamento per quello che i nostri genitori hanno fatto allevando noi. Ancora ci crediamo”, spiega un’altra signora. “Io vengo spesso – le fa eco un’anziana in compagnia della famiglia – ma forse l’atmosfera è diversa rispetto a quella di tempo fa. Quando mio padre mi portava al cimitero il 2 novembre c’era tanta gente, grossi mazzi di fiori”.
Chi si ferma a parlare di più è Silvio Ronan, 58 anni, un passato tra mille professioni tra cui anche quella di “seppellitore specializzato – precisa lui – e lì, al di là dei carri funebri che per fortuna avevo sempre dietro e mai davanti, ho imparato una lezione di quello che siamo, di dove andremo. Oggi vedo che le persone venute qui sono tutte nella terza età, a parte qualche bambino portato dai nonni. Bisognerebbe fare uno sforzo per sensibilizzare la gente”.