Il tesoro contardo

Si era fatto intestare l’eredità dell’amico ricchissimo, nobile genovese decaduto condannato

Ecco com'è andata secondo il racconto degli avvocati di una parente dell'uomo deceduto

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Genova. Il tribunale penale di Genova ha emesso una sentenza di condanna per Eugenio De Filippi, 81 anni, ex broker e nobile decaduto che si divide tra Genova e Montecarlo dove risiede ufficialmente. E’ stato condannato per aver falsificato e usato due testamenti olografi in cui lo stesso De Filippi veniva nominato erede universale del patrimonio dell’amico Benedetto Mariano Contardo, rampollo di una famiglia milionaria che, al momento della sua morte, avvenuta il 29 maggio 2013 possedeva 66 immobili di gran pregio dislocati tra centro città, Boccadasse e Albaro e più 3,5 milioni di euro in contanti.

Nel dibattimento è emerso come de Filippi abbia fatto di tutto per scalzare i parenti del deceduto; tra gli eredi vi era la signora Elettra Dacci, difesa in giudizio dall’Istituto Italiano di Criminologia di Vibo Valentia, con un pool difensivo guidato dal criminologo clinico e rettore Saverio Fortunato, insieme al penalista Marco Baroncini.

Vi erano tre testamenti, il primo del 26.03.2012, con cui viene nominato “erede universale” Eugenio De Filippi; il secondo del 09.08.2012, redatto dal notaio, con cui venivano nominati eredi i parenti e la sua compagna, Elettra Dacci; il terzo del 18.09.2012, con cui veniva nominato “unico erede” ancora Eugenio DE FILIPPI. Sul piano criminologico la prima domanda da porsi era: come mai Contardo andando dal notaio per dettare testamento in data 09.08.2012 aveva lasciato i suoi averi, in mancanza di moglie e figli, alle persone a lui più vicine, parenti e alla compagna, ma senza lasciare nulla a De Filippi e, invece, nei due olografi, uno data antecedente e uno successivo a quello notarile, lasciava tutto a De Filippi e nulla o quasi agli eredi e alla compagna Elettra Dacci? A complicare le cose ci sono stati un collegio peritale di tre grafologi nel rito civile e un collegio peritale di tre periti d’ufficio nel penale, in totale sei esperti più orientato alla veridicità che alla falsità dei testamenti olografi. Nel civile si era disposto la messa sotto sequestro dell’intero patrimonio.

La difesa ha dimostrato in aula la tecnica di falsificazione utilizzata nei due testamenti olografi e ha costretto a chiedere alla Corte di Appello di Genova la ricusazione del giudice penale, giacché pur essendo già fissata l’udienza per il conferimento incarico peritale d’ufficio, il giudice ha fatto retromarcia accogliendo come prova la ctu del civile (che l’avvocato difensore di De Filippi aveva presentato come memoria); consulenza grafologica collegiale, che asseriva la veridicità dei testamenti, anziché la falsità. Insomma, una battaglia giudiziaria lunga e difficile, dove la Procura di Genova, diretta dal procuratore aggiunto Giuseppe Pinto, ha svolto anche il suo prezioso ruolo ai fini di verità e giustizia.

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